La riforma fiscale durante il Covid: inopportuna e decontestualizzata
Il Sindacato italiano Commercialisti ha attenzionato il tema della c.d. “riforma fiscale” che secondo le intenzioni del Direttore dell’Agenzia delle Entrate Avv. Ernesto Maria Ruffini (e non del Legislatore) dovrebbe entrare in vigore dal 1° gennaio 2021.
Tale riforma potrebbe utilizzare le risorse messe a disposizione dal recovery fund per cambiare dalla radice il nostro sistema fiscale, riorganizzando il servizio delle Agenzie territoriali e tassando le imprese, mensilmente o trimestralmente, sulla base del principio di cassa.
L’attuale crisi economica ingenerata dallo stato di emergenza sanitaria sta creando i presupposti per richiedere investimenti nelle infrastrutture digitali e per tali motivi l’Agenzia immagina, tra i diversi interventi, il ricorso diffuso al lavoro agile dei propri impiegati che dovranno essere adeguatamente dotati, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel selezionare posizioni fiscali di interesse ed il diverso utilizzo in chiave anti-evasione tributaria delle numerose banche dati già ora in proprio possesso.
Il senso di tali interventi è in linea di massima comprensibile ma questo non equivale a dire pienamente condivisibile perché allo stato attuale (ad esempio) notevoli sono le difficoltà di contatto tra professionisti e Pubblica Amministrazione. Non riusciamo tuttavia a capire come possa interferire la suddetta misura comunitaria (non utilizzabile per ridurre il carico fiscale) con la prospettata riforma fiscale che, abbiamo ragione di ritenere, aumenterà la complessità del sistema tributario e non lo semplificherà di certo come invece si vorrebbe sostenere.
Innanzitutto, spingendo sull’utilizzo sempre più diffuso del principio di cassa (già introdotto con la Legge 232/2016, modificando l’articolo 18, comma 2, del DPR n. 600/1973 per le imprese minori di cui all’articolo 66 del DPR 917/1986) si andrà a relegare il principio cardine della competenza economica del nostro ordinamento giuridico (e dell’economia aziendale) ai soli soggetti IRES. Questo nel convincimento ormai diffuso dell’Amministrazione Finanziaria e di parte minoritaria della dottrina, ma a nostro avviso fuorviante ed erroneo, che soltanto tassando i flussi finanziari si possa semplificare il sistema, sterilizzandolo dalle componenti valutative: in primis rimanenze ed ammortamenti. A questo si aggiunge ora la possibilità di considerare integralmente deducibili gli investimenti in beni strumentali nell’esercizio in cui avviene il pagamento, rendendo il principio di cassa “puro” per imprese individuali e società di persone, di fatto sinora “misto” e per i soli soggetti in contabilità semplificata.
Viene spiegato questo in chiave di sviluppo perché incentiverà le imprese a fare investimenti (in quanto subito deducibili dal reddito d’impresa), senza fare alcun cenno alla possibilità di riporto delle perdite infrannuali (?) che tale meccanismo provocherà nei periodi immediatamente successivi a quelli dell’investimento e senza fornire stime della possibile caduta di gettito tributario che tale meccanismo potrebbe ingenerare. Ed a tale proposito, come già detto, non potranno essere utilizzate le risorse del recovery fund per compensare la verosimile diminuzione delle entrate tributarie.
Viene poi introdotto il principio di tassazione su base mensile, in sostituzione del sistema ormai storico e collaudato del sistema di tassazione con il meccanismo del saldo ed acconto, anticipando di fatto il momento del prelievo tributario. Oggi distribuito lungo tutto il secondo semestre di ogni anno ma da domani con l’introduzione di tale riforma interessando tutti i 12 mesi dell’anno.
Segnaliamo allora le difficoltà applicative di tale meccanismo, perché dovremmo (noi Commercialisti e non altri) integrare i dati che verranno inviati dall’Agenzia al contribuente con precompilati di diretta derivazione dal flusso delle fatture elettroniche e dei corrispettivi telematici, con i costi non rilevanti ai fini Iva e non in possesso dell’Agenzia delle Entrate in corso d’anno, a partire dai costi del personale. E tutto questo con periodicità mensile o al limite trimestrale. Dunque 12 mini (?) dichiarazioni fiscali (o al limite 4) più una dichiarazione riepilogativa annuale. Ma come si può parlare di semplificazione del sistema? Crediamo che spacciare tutto questo per semplificazione sia un insulto alla nostra cultura professionale ed alle nostre intelligenze.
In questo drammatico momento storico del nostro Paese, per la nostra economia e per il morale di tutti gli imprenditori, crediamo sia fuori luogo parlare di riforma fiscale che, peraltro, andrà ad impattare sulle piccole imprese che sono la stragrande maggioranza del nostro tessuto economico. Innanzitutto perché una vera riforma fiscale, finendo per influenzare la derivazione dei principi di capacità contributiva e di progressività di rango costituzionale, non può nascere in modo estemporaneo, dettata dai burocrati di turno e magari approvata a colpi di fiducia da un Parlamento di fatto non più rappresentativo dell’attuale volontà popolare.
A nostro parere le basi di una riforma fiscale dovrebbero essere quantomeno inserite in un programma elettorale, perché deve essere il Parlamento a dettarne la linea. Solo in un secondo momento dovranno intervenire altre figure tecniche. Tra cui auspichiamo i Dottori Commercialisti, la cui professione è l’unica che sintetizza tutte le competenze necessarie per poter sviluppare il tema della riforma fiscale in maniera organica.
In secondo luogo, di fronte alle città d’arte deserte, al turismo internazionale completamente bloccato, al comparto dello spettacolo in ginocchio, agli imprenditori che si suicidano, etc. etc., quella prospettata, a noi pare che sia la risposta sbagliata per fronteggiare problemi urgenti e drammaticamente diffusi perché punta ad ottenere un flusso costante di risorse dagli ultimi contribuenti “superstiti” in corso di pandemia.
In questo momento c’è eventualmente bisogno di stabilizzare il quadro normativo (sfoltendolo) e di adottare misure semplici di supporto alle imprese per salvaguardare la continuità aziendale.
Da una prima analisi del nuovo sistema di tassazione emerge di sicuro un anticipo del momento del prelievo tributario che aggraverebbe le già precarie condizioni finanziarie delle nostre imprese. Ma tale effetto (certo), potrebbe essere aggravato dall’aumento del carico fiscale se non si consentisse il riporto delle perdite infraperiodo, in misura piena e nel mese o trimestre immediatamente successivo a quello in cui le stesse saranno maturate.
Aggravio probabile anche determinato da:
- situazioni particolari, quali ad esempio contribuenti che fatturano somme ingenti poche volte l’anno (es. contratti di appalto) o soggetti che lavorando con la P.A. risentono dei ritardi nei pagamenti tipici del nostro paese;
- la revisione degli estimi catastali determinata dall’accettazione del suddetto recovery fund.
Insomma, crediamo che il focus dovrebbe essere il sostegno economico alle imprese con ogni leva (quindi anche quella fiscale ad esempio consentendo la detraibilità integrale oggi limitata per una serie di costi) al fine di salvare le imprese. Perché se dovesse esserci una chiusura diffusa di migliaia di partite IVA nei prossimi 12 mesi, anche per effetto dello sblocco del divieto di licenziamento, il gettito tributario ne risentirebbe. E da qui dunque l’interesse anche dell’Agenzia delle Entrate a salvare il maggior numero di imprese possibile. Questa è l’urgenza sulla quale ci si dovrebbe concentrare.
Per finire un’ultima considerazione, stavolta di natura sindacale.
I Commercialisti sono da sempre cinghia di trasmissione tra mondo produttivo e Pubblica Amministrazione, divenuti negli anni il front-office di quest’ultima che ha in tal modo traslato oneri di particolare importanza.
Applichiamo velocemente norme e provvedimenti normativi, ci assumiamo responsabilità abnormi e studiamo circolari interpretative dell’A.d.E. sistematicamente tardive (in violazione dello Statuto del Contribuente) e talvolta ultra legem. Nel corposo documento presentato in audizione alla Camera dei Deputati dal Direttore dell’A.d.E. il 14 del mese corrente, non c’è il minimo riferimento al nostro ruolo, alle nostre competenze e men che meno l’idea di un possibile ascolto in chiave di collaborazione. E, come sempre, tutto ciò che viene normato passerà per le nostre scrivanie, obbligandoci a riorganizzare il nostro lavoro, nonostante la sterzata digitale che si intende imprimere nel rapporto con il contribuente, in quanto dal 730 precompilato si intende transitare anche alle dichiarazioni IVA e dei redditi precompilati.
L’intento è quindi forse anche quello di estrometterci dal rapporto che abbiamo con il mondo produttivo.
Completamente ignorati. E questo lo riteniamo socialmente ingiusto ed ingiustificato. Al di là delle ragioni dello sciopero che non abbiamo ritenuto corretto revocare, nonostante le vacue promesse troppe volte rimaste soltanto buoni propositi (il tavolo istituito sugli ISA è soltanto l’ultimo esempio).
Perugia, 30 settembre 2020
Sindacato italiano Commercialisti
Il Comitato Direttivo